Dopo 19 anni di attesa, l'hype era alle stelle. La notizia del ritorno di Bruce Dickinson in veste da solista ha avuto un risalto enorme, così come quella del suo primo vero e proprio tour dal 1998, il quale ha già registrato il tutto esaurito per moltissimi concerti. Insomma, tutti erano impazienti di ascoltare cosa Bruce avesse in servo per noi. Tante recensioni hanno definito The Mandrake Project il suo miglior lavoro solista, mentre altre hanno decretato che questo nuovo album poteva essere tranquillamente il seguito di Accident of Birth e Chemical Wedding, indubbiamente i suoi due dischi più amati. Del resto quando si parla di una leggenda del Metal è facile farsi prendere la mano, specie se chi scrive è cresciuto con la sua voce. Forse è proprio questo eccessivo entusiasmo ad averci inizialmente guastato l'ascolto di Mandrake Project. Perché sì, vogliamo essere totalmente sinceri, dal momento che parliamo da fans e non da recensori: questo disco non ci ha minimamente colpito al primo ascolto. Lo abbiamo detto. Ma non fermatevi qui, perché in realtà c'è tanto di cui parlare.
Come abbiamo chiarito subito, di primo acchito non siamo stati rapiti dalle nuove canzoni di Bruce, tanto che ci siamo chiesti se avesse senso fare questa chiacchierata/recensione e come intitolarla. La prima idea è stata "un ritorno con il freno a mano", per dire. Tuttavia è impossibile scrivere di un disco dopo qualche ascolto (specialmente se il lavoro in questione viene dalla mente di Bruce) per cui ci siamo presi più tempo per provare a buttare giù qualche riga. Non perché volevamo per forza cambiare opinione sull'album, ma perché volevamo essere i più onesti e completi possibile. Vogliamo quindi iniziare specificando perché, secondo noi, i nostri primi listening non sono stati positivi.
Innanzitutto, molte canzoni di Mandrake Project non hanno una vera e propria struttura classica. Sì, ogni tanto c'è la "normale" composizione riff - verse - pre chorus - chorus e via discorrendo, però anche quando è presente non è di così facile comprensione dopo pochi ascolti. Ciò, almeno per noi, ha causato un iniziale spiazzamento che probabilmente ha influito negativamente sul nostro giudizio. Chiaramente non è un male che le canzoni siano così, anzi, però ovviamente non si è pronti ad elaborarle nella maniera corretta. Secondariamente, molte recensioni hanno equiparato questo nuovo album a Chemical Wedding. Beh, sinceramente, tranne qualche pezzo, di Chemical Wedding qui c'è davvero poco. Il sound di quel disco è decisamente più Metal e pesante (Trumpets of Jericho, Book of Thel, Killing Floor, per citare un paio di esempi). Anche quando Bruce rallentava, come poteva essere in Jerusalem, comunque non si aveva mai il dubbio di star ascoltando un album Metal, cosa che non si può assolutamente dire se si sta sentendo un brano come Face in the Mirror (andremo dopo nei dettagli, non vi preoccupate). Capirete bene quindi che inizialmente ci aspettavamo tutt'altra musica, letteralmente. I tempi cadenzati regnano sovrani in Mandrake Project; la maggior parte dei pezzi inizia a mo' di ballad; tastiere e pianoforti giocano una parte importante in quasi tutti i brani. Insomma, se tu hai in mente di ascoltare un Chemical Wedding o Tyranny of Souls parte 2 e poi ti ritrovi queste composizioni è normale ritrovarsi ancora una volta spiazzati, cosa che ti farà giudicare l'album, almeno all'inizio, con un solo aggettivo: mollo. Neanche noioso (comunque c'è tanta roba da sentire, a prescindere che vi piaccia o meno), ma proprio senza mordente. Qui dobbiamo aggiungere un altro fattore che sicuramente ha influito sulla nostra prima opinione, e dobbiamo specificare che questo è prettamente soggettivo: la produzione. A molti piacerà, ne siamo certi, ma a noi questo tipo di suono non convince proprio (in generale, non solo negli album di Bruce), in quanto ci sembra un po' appiattire il tutto.
"Ma quindi The Mandrake Project non vi è piaciuto?"
Come abbiamo premesso all'inizio, vi stiamo parlando con tutta la sincerità e l'onestà possibile. Se ce lo aveste chiesto dopo i primi ascolti la risposta di getto sarebbe stata un grande "sni". Non abbiamo mai pensato fosse brutto, ma solo smorto. Un lavoro che raggiungeva la sufficienza ma non andava oltre. Tuttavia abbiamo anche chiarito perché, almeno secondo noi, abbiamo avuto questa iniziale reazione negativa. Del resto al giorno d'oggi l'unica maniera per arrivare alla fruizione di un prodotto senza essere influenzati dalle parole di altri sarebbe buttare via tutto ciò che si collega ad Internet e andare a vivere in una foresta. Noi siamo in una situazione ancora più difficile, dal momento che dobbiamo anche tradurre e condividere recensioni per voi. E diciamolo: anche se si può cercare di non ascoltare le opinioni altrui si sarà sempre inconsciamente influenzati. L'unica cosa da fare, e quella che abbiamo fatto, è prendersi del tempo, magari anche con delle pause dall'ascolto, per poi, a mente più lucida e conscia di quello che si andrà a sentire, rimettere sullo stereo questa nuova fatica di Bruce. Ve lo diciamo subito: siamo rimasti più sorpresi da quanto la nostra opinione è cambiata, più che dal disco stesso.
Tutto questo pippone iniziale lo abbiamo scritto non solo per raccontarvi il nostro approccio all'album, ma anche come una sorta di "disclaimer": se anche voi vi troverete nella nostra stessa situazione, provate a dare a Bruce una seconda chance, magari dopo un breve periodo di pausa. Perché sì: The Mandrake Project non è un album che si può ascoltare solo un paio di volte prima di giudicarlo. Dalla sua, però, ha un vantaggio non da poco su questo aspetto: essere bastardo. Siamo sicuri che anche se avete decretato che non vi piace, di tanto in tanto vi ritroverete a canticchiare parti di canzoni che magari neanche sapevate di aver assimilato, le quali vi spingeranno a mettervi le cuffie e sentire il lavoro per intero. Parlando con altre persone che hanno avuto la possibilità di sentirlo abbiamo notato tutti questa caratteristica. Che vi piaccia o meno, quindi, probabilmente lo ascolterete più di una volta.
Se possiamo darvi un ultimo consiglio: non mettetelo su come sottofondo mentre fate altro; Bruce (così come i Maiden) richiede la vostra massima attenzione.
Partiamo ora con la "recensione" (anche se non ci piace chiamarla così) vera e propria. Non vogliamo lanciarci in un semplice track by track, quindi appena ce ne sarà occasione ci dilungheremo in alcune analisi sul lavoro in generale. Tradotto: non saltate alla parte della canzone che vi interessa!
L'album parte con l'ormai celeberrima Afterglow of Ragnarok, il primo singolo uscito a dicembre. Tutti lo abbiamo sentito, tutti lo abbiamo apprezzato o odiato, quindi è anche un po' superfluo andare lunghi su questa canzone. Quello che possiamo dire invece è che normalmente i singoli servono a far capire all'ascoltatore che tipo di lavoro sarà il disco completo. Ecco, qui no. Ragnarok è un pezzo che effettivamente è più vicino (non vuol dire che siano quelle al 100%, attenzione!) alle atmosfere di Chemical Wedding rispetto a quelle di Mandrake Project, nonostante dia qualche assaggino di ciò che ci aspetta. Se dovessimo scegliere un singolo che descrive al meglio (per quanto possibile) questo album probabilmente andremmo con Fingers in the Wounds, ma poi ci arriviamo. Il primo inedito che incontriamo è la seconda traccia, Many Doors To Hell, la quale c'entra poco e nulla con la prima. Questa è un'altra caratteristica di Mandrake Project: ogni canzone sembra far parte di un disco diverso. Più una raccolta, quindi, che un album vero e proprio, ma come ci ha detto un nostro amico: "Forse è proprio questo il significato di Mandrake Project. Bruce nei panni di un alchemico che gioca con le pozioni per tirare fuori una formula vincente.. ma alla fine fa esplodere il laboratorio con tutti questi test". Potrebbe essere un modo di vederla. Un altro, meno poetico, è quello che vede Bruce fare ciò che vuole, come vuole. Parliamoci chiaro: stiamo parlando di un artista che, sia da solista che con i Maiden, non deve dimostrare più niente a nessuno da anni, decenni. Tutto ciò che fa adesso lo fa perché vuole farlo, niente gli è imposto. È quindi comprensibile che faccia scelte meno tradizionali e più di istinto. Sicuramente non ha come interesse primario che Mandrake Project sia apprezzato. È più un: "questo è ciò che volevo fare e volevo farvi ascoltare; se non vi piace nessun problema, sono comunque nella storia". Come dargli torto? In pochissimi hanno il suo status e di conseguenza le sue libertà. Il disco venderà decine di migliaia di copie comunque e, come vi avevamo già accennato, i suoi concerti sono quasi tutti sold out. Tanto vale che si tolga lo sfizio di fare ciò che vuole, a prescindere che sia capito o meno. Per questo passiamo da una canzone prettamente Metal a Many Doors To Hell, un brano che non sfigurerebbe in un disco degli Scorpions e che ricorda il suo periodo Balls to Picasso, se non addirittura Tattooed Millionaire. Si tratta di un pezzo molto hard rock, di facile fruizione, a cui si aggiungono varie tinte Dickinsoniane, specie nella seconda parte. È forse la canzone più "semplice" dell'album e non a caso questa è l'unica che ci ha preso al primo ascolto. Questa estate tutti con una Peroni fresca in mano a cantare il ritornello!
Arriviamo al secondo singolo, Rain on the Graves. Anche qui tutti abbiamo detto la nostra, per cui non ci dilungheremo troppo. Noi personalmente amiamo le parti vocali un po' teatrali e siamo innamorati delle tastiere di Mistheria nel pre ritornello. Un riff un po' à la King Diamond, un po' à la Ozzy, un bridge che, effettivamente, richiama quelli di Accident of Birth (o, ancora di più, Tyranny of Souls) e un ritornello che ci è rimasto fisso in testa dalla sua uscita compongono questa brano che, come singolo, già ci lascia intuire un po' di più che qui Bruce si è preso le sue libertà.
Resurrection Men è uno dei pezzi che eravamo più curiosi di ascoltare, leggendo le recensioni che parlavano di atmosfere western. Effettivamente, quando parte, ci siamo subito immaginati un ipotetico video in cui Bruce cavalca nel Far West. Quella parte non sfigurerebbe in un film di Sergio Leone, sul serio. Il problema è che è un po' fine a sè stessa, nel senso che viste le atmosfere del pezzo e le parole del testo viene da chiedersi se semplicemente Bruce e Roy Z non avessero questo riff pronto e lo volessero inserire a tutti i costi nell'album. Non a caso non dura nemmeno troppo, e si trasforma poco dopo in qualcosa di più "classico". Le linee vocali della strofa (che, a prova del fatto che questo disco non ha una struttura definita in molti brani, non si ripeteranno più) sono un po' "anomale", così come il modo in cui Bruce le interpreta. Possono piacere o meno, ripetiamo che è semplicemente il cantante che sta facendo ciò che vuole. Il ritornello si stampa in testa nonostante non sia niente di incredibile. Qui abbiamo le prime avvisaglie di "concept album", dal momento che un verso del ritornello è "Resurrection Men, Eternity Has Failed you once again". Nonostante non sia un vero e proprio concept, il tema della resurrezione è presente praticamente in ogni canzone, e alcune citano i personaggi principali del fumetto (Necropolis e Lazarus, citato appunto in questo brano), il quale infatti amplia la storia del disco senza seguirla. La seconda parte di Resurrection Men è in pieno stile Black Sabbath, dalla voce al tono della distorsione della chitarra. Grande lavoro di Roy sia al basso che alla chitarra. Anche qui, abbiamo una semi citazione a Eternity (quella dei Maiden, però, dal momento che le parole della versione di Bruce sono differenti) quando Bruce canta "I rise from slumber, you call my name, recall our number". Anche questi dettagli nei testi ci hanno fatto rivalutare non poco l'intero lavoro, dal momento che anche se le canzoni possono essere abbastanza diverse l'una dall'altra i testi creano una sorte di filo conduttore, ed essendo Bruce un cantante è geniale che sia proprio lui con la sua voce a metterlo in risalto. Il brano termina con il ritornello, ma non prima di averci fatto riascoltare la prima parte, stavolta con il cantato di Bruce sopra di essa (ma non nel riffettino western).
Continuiamo con Fingers in the Wounds. Qui le tastiere di Mistheria e il basso/chitarra di Roy iniziano a lavorare davvero alla perfezione insieme, e in particolare proprio Mistheria inizia a splendere di più a partire da questo pezzo. Del resto la strofa si basa praticamente sulle sue tastiere, che poi diventano la parte principale della seconda parte, ricreando atmosfere orientali à la Kashmir dei Led Zeppelin. Nonostante qualche variazione, questo è un altro dei pochi brani che, alla fine, sono abbastanza di facile fruizione. La breve durata aiuta molto (abbiamo letto che qualcuno avrebbe allungato la parte orientale, ma per noi è perfetta così), la voce di Bruce è ottima e il basso di Roy nel ritornello la esalta ancora di più. Sinceramente quando abbiamo riascoltato questo pezzo ci siamo chiesti: "Ma perché non ci è piaciuto subito al primo ascolto?". Questa semi-power ballad è senz'altro uno dei momenti più belli del disco.
Se avete notato, abbiamo cercato di fare meno riferimenti possibili agli Iron Maiden fino ad adesso. Del resto non stiamo parlando di loro, il fatto che Bruce sia il loro cantante non vuol dire niente. Tuttavia ci perdonerete se con Eternity Has Failed qualche parola sulla versione "originale" (intesa come quella pubblicata prima) ci scapperà, del resto è inevitabile. Qualcuno (come chi scrive) si aspettava di sentire la stessa versione della demo presente come B side del singolo di Afterglow of Ragnarok registrata in maniera professionale. Per quanto l'idea sia quella, comunque, ci sono delle variazioni, sia nei testi che negli arrangiamenti. Rispetto alla versione dei Maiden il brano è un poco più lento e più pesante, con l'aggiunta (ovviamente) delle tastiere e di alcune doppie tracce vocali nel ritornello. Proprio nel chorus abbiamo un altro riferimento alla storia di The Mandrake Project: "We're a building a bridge so that your people can live", citazione chiara al "Now the bridge is broken" del pre chorus di Afterglow of Ragnarok. C'è solo una strofa (come nella demo) e si passa subito alla parte strumentale che tutti conosciamo. O no, visto che in questa versione ci sono degli assoli di chitarra. Tuttavia la cosa che fin dal primo ascolto ci ha fatto saltare dalla sedia sono state le tastiere, specialmente quel giretto verso la fine del bridge (capirete di quale stiamo parlando quando lo sentirete, fidatevi). Lì ci sono venuti i brividi. Bravo Mistheria! Non ci sono altri sostanziali cambiamenti, se non dei cori nell'ultimo ritornello. Detta sinceramente, riteniamo la versione dei Maiden superiore, ma presa nel contesto dell'album questa rivisitazione funziona davvero bene.
SE NON VOLETE ROVINARVI PER SEMPRE L'ASCOLTO NON CLICCATE QUI
Passiamo a Mistress of Mercy. E dal momento che continuiamo a parlarvi con l'onestà più assoluta vi diciamo che al primo ascolto del riff di questa traccia abbiamo stoppato un attimo per calmarci. Non perché sia brutto, anzi; il riff è bello. Starebbe benissimo su Accident of Birth come riff iniziale, ne siamo certi. Come facciamo a saperlo? Beh... questo È il riff che apre Accident of Birth. È palesemente un plagio di quello di Freak, senza se e senza ma. Ma davvero, Bruce? 19 anni per uscire con un nuovo album e poi la parte principale di uno dei nuovi pezzi è un riff del 1997? Ok, gli possiamo dare il beneficio del dubbio che sia voluto (d'altronde il testo di Freak ha un'intera parte che ripete "Who is your mistress, that leads you to the dark secret?"), però comunque non è una semplice citazione come poteva essere l'inizio di Shadows of the Valley che richiamava Wasted Years e Sea of Madness, qui è la base dell'intera canzone. Ad oggi ciò ancora ci danneggia un po' l'ascolto del brano, che comunque (per noi) è addirittura migliore di Freak. Siamo certi che molti di voi ameranno Mistress of Mercy, essendo l'unico pezzo dell'album davvero veloce e Metal in stile Chemical Wedding e (ovviamente) Accident of Birth. Se a voi quel plagio (voluto o meno) non dà fastidio sicuramente gradirete sentire nuovamente Bruce in queste spoglie.
È il momento della ballad del disco, che da sempre contraddistinguono gli album di Bruce. Face in the Mirror è interamente acustica, con la chitarra e le tastiere che fanno da tappeto per la voce di Bruce. Un ritornello semplice ma che funziona, un testo particolarmente ispirato ("I can see paradise, even though I live in hell, so don't look in my mirror, you might see yourself as well") e il primo assolo di chitarra registrato da Bruce (e, siamo onesti: si sente che non è Roy a suonarlo!) compongono un brano che scorre veloce e che non ha particolari pretese. Non siamo certamente ai livelli di capolavori come Tears of the Dragon, Navigate The Seas of the Sun, Man of Sorrows o Arc of Space, ma del resto neanche le atmosfere sono le stesse. Se proprio dobbiamo fare un paragone con un'altra ballad di Bruce tireremmo in ballo Change of Heart, ma più per lo stile che per eventuali somiglianze sonore.
Ora arriva il momento che, per noi, vale tutto il disco. Se durante le prime sessioni di ascolto non avevamo subito apprezzato appieno questa canzone, adesso non abbiamo paura a definire Shadows of the Gods una delle migliori canzoni di Bruce, nonché probabilmente una delle più belle che sentirete quest'anno. Nella prima parte di brano i protagonisti assoluti sono Mistheria e Bruce. Un inizio che, in realtà, è una ballad a tutti gli effetti, con queste tastiere malinconiche e un cantato davvero emozionante. Fin dal primo "And so we lay..." (ricorda qualcosa? 😉) Bruce ci regala una prestazione davvero da dieci, senza nemmeno fare vocalizzi importanti o altro. Chi ama la sua voce non può che amare perlomeno la prima parte di Shadow of the Gods, perché raramente Bruce ci ha emozionato così tanto. Sì, stiamo ripetendo "emozionante" tante volte, ma l'emozione è la caratteristica di questo (inizio) brano. Anche quando va in alto non lo fa mai per far vedere a tutti cosa riesce a fare, ma sta "semplicemente" seguendo lo spirito del pezzo. Non c'è una struttura ben definita, ma i primi quattro minuti di canzone passano senza che ce ne accorgiamo. Esattamente al quarto minuto il pezzo cambia totalmente: entrano le chitarre distorte, la batteria inizia a picchiare sul serio (pur rimanendo su un up tempo) e Bruce inizia a graffiare. Questa parte di canzone ricorda non poco Silent Scream di Rob Halford, non tanto per le note quanto per l'idea del pezzo in sé. Il verse "This is my world, world of the dead, this is my life, world of the dead!" ci presenta un Bruce davvero "cattivo" e incisivo che farà felice chi aspettava di sentire delle sonorità un po' più pesanti. Anche qui il testo parla di riportare in vita un figlio, e non escludiamo che quando c'è quella parte più "cattiva" sia proprio Necropolis a parlare. Il brano si conclude con un bellissimo outro, con le tastiere da kolossal di Mistheria che esaltano ancora di più la voce di Bruce. Un ottimo pezzo davvero, che si prende il suo tempo per poi concludersi in maniera perfetta.
Siamo giunti alla fine di The Mandrake Project, che si conclude con Sonata (Immortal Beloved), canzone che Bruce ha inserito per volere della moglie Leana, la quale riteneva quest'ultimo brano un piccolo capolavoro. Prima di parlarne, però, bisogna fare una precisazione che magari è sfuggita a qualcuno: questa canzone è per l'80% improvvisata da Bruce. L'ha registrata senza avere pronto alcun testo o linea vocale. Lo diciamo perché molte persone che hanno sentito questo brano in anteprima lo hanno definito, appunto, "improvvisato", ovviamente con accezione negativa. Beh, no: è davvero così!
Ciò detto, vi diciamo la verità: a noi non ci è apparso così tanto improvvisato. Certamente lo è, nei testi un po' si sente, ma il fatto che sicuramente la storia della canzone era già chiara nella mente di Bruce, così come il "ritornello" (se così possiamo chiamarlo) era già pronto, non c'è così tanto la sensazione che Bruce non sappia cosa stia per arrivare dopo, anche se magari in realtà era così. Certo, tranne il "Save me now" non abbiamo idee particolarmente geniali per quanto riguarda le linee vocali, ma, come per la traccia precedente, anche qui la parola d'ordine è "emozione". Si parla nuovamente di resurrezione, di un re che vuole riportare in vita la sua regina, e Bruce interpreta il testo in maniera perfetta. Il resto della band aiuta il cantante a ricreare le atmosfere necessarie e il tutto si traduce in un ottimo brano (e, se vogliamo, esperimento) che nonostante i quasi dieci minuti di durata scorre via veloce (ovviamente qui è inutile parlare di struttura musicale, dal momento che non esiste nemmeno). Sinceramente, gli unici momenti in cui forse si sente che Bruce sta improvvisando sono quando cita altri pezzi in cui ha cantato ("...and the shadows of the valley of death approach..."). Degne di nota le parti di chitarra finali, che richiamano non poco i Pink Floyd (o, per chi sa di cosa parliamo, Eternal). Esperimento più che riuscito, quindi, che va a concludere questo The Mandrake Project, un disco con cui non c'è stato il colpo di fulmine ma un "lento" corteggiamento.
"Ma come, avevate detto all'inizio che questo album non vi era piaciuto e adesso avete parlato bene di (quasi) tutti i brani!" E ne siamo sorpresi quanto voi, davvero. Come abbiamo ripetuto più volte, le nostre prime impressioni non erano del tutto positive, ma adesso, dopo vari ascolti effettuati in maniera più consona (non mentre andiamo a lavoro o stiamo facendo altro, per farvi capire) non abbiamo dubbi: The Mandrake Project ci è piaciuto un sacco!
Certo, non è il miglior lavoro di Bruce, ma a 66 anni sicuramente a lui non interessa cercare di superarsi, quanto più "togliersi i sassolini dalla scarpa", fare ciò che vuole conscio del fatto che la sua carriera l'ha fatta a prescindere da come verrà recepito quest'ultimo lavoro. Brani come Mistress of Mercy fanno capire che, probabilmente, Bruce riuscirebbe senza problemi a comporre un Accident of Birth parte 2, ma non è quello il suo intento. Preferisce cercare di esplorare e sperimentare (letteralmente, nel caso di Sonata), creando dischi che suonano diversi l'uno dall'altro. D'altronde la sua carriera solista non ha mai seguito un unico stile, basti pensare a Balls to Picasso o a Skunkworks. Questo album è diverso, molto semplicemente. Sarebbe difficile stilare una classifica dei suoi migliori lavori tenendo conto di questa varietà. Se ci puntaste una pistola alla tempia probabilmente diremmo che Mandrake Project, per noi, è un gradino sopra a Tyranny of Souls e sotto ai due soliti classici. Ma ripetiamo che sono talmente diversi che stabilire quale sia il migliore è praticamente impossibile.
Ovviamente parliamo principalmente di composizione, senza scendere nei dettagli tecnici. In questo album tutta la band che accompagna il cantante è al top della forma (forse Roy poteva osare un po' di più con la chitarra, questo sì). Dave Moreno alla batteria è una garanzia che abbiamo imparato ad apprezzare su Tyranny of Souls, mentre Mistheria (il quale anche lui ha partecipato al precedente disco) qui trova il modo di risaltare più che mai. Bruce, dal canto suo, ci offre una prestazione ottima durante tutto l'album, specialmente quando incide nelle parti più basse (il "in truth we dig!" di Resurrection Men vi resterà stampato in testa, fidatevi).
Infine, vi ribadiamo i consigli che, secondo noi, potrebbero farvi apprezzare di più questo album:
- Lasciate perdere le recensioni. Sì, anche questa nel caso. Cercate di considerarle opinioni personali e non verità assolute. Noi abbiamo cercato di essere i più sinceri e oggettivi possibile, però una volta che lo ascolterete è normale che ci veniate a dire "Ehi, qui non sono d'accordo". Ognuno di noi ascolta e interpreta la musica in maniera diversa.
- Aprite la mente. Questo non è il seguito di Chemical Wedding, anzi. Aspettatevi ben altro. Se volete a tutti i costi un album su quello stile lì probabilmente Mandrake Project non fa per voi.
- Non dategli un ascolto e basta. Questo disco richiede tempo, un po' per la mancanza di strutture classiche, un po' per la quantità di idee e dettagli presenti. Ascoltatelo, prendetevi una pausa e ascoltatelo di nuovo, possibilmente mentre non state facendo altro. Non è detto che vi stregherà, magari semplicemente non vi piace e basta, però dategli più chances.
In conclusione: The Mandrake Project è un disco onesto che, a prescindere dai gusti, ci fa capire che Bruce non insegue il successo (che già ha), ma lo sfrutta per dar sfogo al suo estro creativo, mettendosi ancora in gioco piuttosto che adagiandosi sugli allori "alchemici". Qualcuno lo amerà, qualcuno lo troverà mollo, qualcuno gli darà un paio di ascolti e poi se ne scorderà (se riuscite a non canticchiare pezzetti dell'album spiegateci come fate!), ma senza dubbio qui possiamo, ancora una volta, trovare il vero Bruce Dickinson. Sinceramente, nel 2024, era tutt'altro che scontato.
The Mandrake Project uscirà l'1 marzo. Disponibile per il pre-order in doppio vinile, CD, digisleeve CD e nei formati digitali a QUESTO LINK. Ovviamente sarà possibile acquistarlo anche nei migliori negozi di dischi.
Bruce passerà anche per il nostro paese in estate per due concerti:
Venerdì 5 luglio - Rock in Roma
Sabato 6 luglio - Metal Park
Potete comprare i vostri biglietti QUI.