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La recensione di 'Nights of the Dead - Live in Mexico City': probabilmente un'occasione sprecata.



Si può recensire questo undicesimo live album degli Iron Maiden in poche parole. Si sbaglierebbe però se non si tenesse in considerazione il contesto in cui questa nuova uscita viene presentata. Rimandiamo quindi il nostro giudizio per dedicarci a chiarire più di un dubbio riguardo a ‘Nights of the Dead’.


Ma quanti album live fanno? Non se ne può più”. Questo è il commento con cui gran parte del pubblico metallaro ha accolto l’annuncio. In effetti 11 live sono tanti, e poche band possono competere con i Maiden sotto questo aspetto. Ma è davvero un male? Anni e anni fa la band aveva già affermato l’intenzione di pubblicare un disco dal vivo per ogni tour che faceva, e più o meno ha rispettato la parola data (anche se sono stati registrati, i live a Donigton del 2007, A Matter of the Beast Tour, e 2013, Maiden England, non hanno mai visto la luce). Questa mossa, per un gruppo come gli Iron Maiden, ha senso dal momento che sul palco non hanno praticamente rivali, anche oggi che sono dei vecchietti. È con gli shows che la band si esprime davvero, e più di un fan ha scoperto di essere tale solo dopo aver visto Steve e company esibirsi. È chiaro quindi che pubblicare un sacco di live per gli Irons è sensato, e sicuramente non è un malus per i loro seguaci: se uno è interessato lo acquista, altrimenti lo lascia sullo scaffale.

Inoltre in questo caso le cose sono ulteriormente diverse: con la terza leg del Legacy of the Beast Tour posticipata al 2021 i Maiden ci avrebbero dovuto lasciare a bocca asciutta per più di un anno, dal momento che pubblicare il tanto agognato nuovo album in studio prima della fine del vecchio tour sarebbe stato inconcepibile. Hanno deciso quindi di attrezzarsi e lavorare con quello che avevano per rilasciare una testimonianza di questi concerti che, a detta della stragrande maggioranza dei fans, sono stati probabilmente i migliori del gruppo da 20 anni a questa parte.

È chiaro (anche dalle parole di Bruce) che la vera intenzione era di registrare un DVD dal vivo nel corso del tour 2020, probabilmente a Donington o al Defensè Stadium di Parigi. Questo spiega perché stavolta non c’è il supporto video insieme al classico CD. Si, Steve Harris aveva affermato anni fa che non avrebbero più rilasciato DVD e Blu Ray in quanto non avevano mercato, ma dal momento che da quando questo tour è iniziato i socials dei Maiden sono stati ricoperti da commenti in cui veniva chiesto di rilasciare un video ufficiale pensiamo che non sarebbe stato propriamente un flop (specie visto che lo show al Rock in Rio 2019 è lontano dagli altissimi standard degli altri concerti, ma del resto tutta la band era ammalata).


Passiamo ora alla scelta dei concerti registrati. Siamo nuovamente in Sud America, a Città del Messico. Ormai tutti sanno che ogni singolo show della band viene registrato, quindi potenzialmente anche uno dei tre shows italiani del 2018 sarebbe potuto finire su di un live album. Ma ci sono dei motivi precisi per cui invece è stato scelto il Messico. Intanto, va detto che un po’ di aura magica c’era intorno a questi shows: l’intenzione della band era di suonarne solo due, ma dal momento che i biglietti sono letteralmente volati è stata annunciata una terza serata, cosa rarissima per i Maiden, che si sono esibiti per oltre 65mila messicani in delirio (curioso visto che nel 2016 avevano faticato non poco per raggiungere quota 40mila). Inoltre, come “tema” dei concerti era stato scelto il Dia de los Muertos (tipica festa del paese molto simile al nostro Halloween), che è stato riproposto nella copertina (che a noi piace!) e nel nome del live album.


Parlando di praticità: tre date equivalgono a 48 canzoni da cui scegliere il meglio, ecco perché il gruppo ha optato per il Messico. Se avessero scelto una sola data tutte le canzoni dovevano essere perfette, e un collage con vari concerti è stato realizzato appena tre anni fa.


È fatta: gli Iron Maiden sono riusciti a tirare fuori un live album improvvisato per darci qualcosa da ascoltare durante questi mesi difficili.

Tuttavia non possiamo essere totalmente felici riguardo a questo disco dal vivo. Anzi, probabilmente il meno bello dai tempi degli ‘A Real Live/Dead One’.


Ora, prima che annulliate i vostri ordini o ci insultiate a raffica, chiariamo una cosa: tra i live che sono usciti dal ’93 in poi ci sono dischi come ‘Rock in Rio’ e ‘Flight 666,’ non certo una concorrenza facile con cui competere. Ma anche quelli “minori” come ‘Live Chapter’ o ‘En Vivo’ sono tuttavia superiori a questo album.

Il motivo? Probabilmente ascoltando i singoli, Aces High e Sign of the Cross, molti di voi lo avranno capito:


IL SUONO. IL MIX. LA RESA SONORA. QUELLA COSA LEGGERISSIMAMENTE IMPORTANTE PER UN DISCO DAL VIVO, CHE TRA L’ALTRO PUÒ CONTARE SOLO SUL FORMATO AUDIO.

E la colpa è sempre di una sola persona, visto che è la costante dei prodotti che suonano male dei Maiden: Steve Harris. Ma andiamo con ordine.


La performance è più che buona, nonostante la band mostrasse i primi sintomi della malattia che poi è esplosa al Rock in Rio. In molti si sono lamentati di Bruce più che degli altri, addirittura arrivando a dire che dovrebbe smettere di cantare. Beh, no.

Intanto, in questo caso sembra che Steve abbia semplicemente preso la traccia vocale e l’abbia schiaffata nel master. Non è stata migliorata in alcun modo (ovviamente non parliamo di sovraincisioni, ma di aggiustamenti sonori), il che sicuramente fa sembrare il cantante ancora più in difficoltà.

Certamente non è la migliore prestazione di Bruce, che si sente essere più affaticato del solito, ma la sua prestazione nonostante tutto è da 8. Certo, se gli shows fossero stati una settimana dopo sarebbe stato da 10, ma così è andata.

C’è anche da dire che in un album dal vivo possiamo sentire perfettamente la nostra Air Raid Siren mentre ai concerti è ovviamente tutto più confusionario. Anche a Firenze (dove a detta di molti la band ha fatto il suo concerto migliore in terra italica) avrebbe potuto cantare così che noi non ce ne saremmo accorti. Basta ascoltare i video delle 3 serate in Mexico su Youtube per non notare i difetti che su questo disco ci sono e che il mix evidenzia anche troppo.


Bruce non deve ritirarsi, e i Maiden non devono accorciare i tours: semplicemente nell’unica scelta possibile per la pubblicazione di un live la band non era al 100% della forma, soprattutto Bruce che è quello più condizionato dalla sua salute. Tutto qui. Ci sono momenti in cui regala vere e proprie gioie, ad esempio nei ritornelli più alti della già citata Sign of the Cross, nel ritornello di Aces High, nelle piccole variazioni qua e là come su 2 Minutes to Midnight e sull’impeccabile Where Eagles Dare (anche se fra le tre serate forse non hanno preso la migliore) o semplicemente nelle canzoni fatte da manuale come Flight of Icarus. Bruce è oggettivamente ancora in grado di fornire buonissime prestazioni, anche quando non sta al massimo. È in pezzi come For The Greater Good of God (prima volta che appare su un disco live) che si sente più affaticato, sicuramente non perché non arriva alle note ma perché deve tenere una tonalità abbastanza alta per quasi tutta la canzone, il che lo porta a non avere fiato. Visto come ha cantato al Rock in Rio pochi giorni dopo, sicuramente qualsiasi tipo di malattia si fosse preso ha influito negativamente proprio sul suo fiato.


Ma se arranca con FTGGOG allora su Hallowed Be Thy Name, che tra l’altro è in fondo alla scaletta, ha fatto schifo!"


Assolutamente no. Non c’è scritto da che serata proviene la canzone (sicuramente non viene dalla prima perché proprio Bruce si è perso al ritornello) e han scelto senza dubbio la versione migliore, ma quello che è certo è che il cantante dà un’ottima prestazione. Non ai livelli di altri shows del tour, ma comunque molto buona.


Passiamo ora al membro della band che è più da elogiare su questo album: Nicko.


Nonostante i suoi 68 anni il nostro party animal preferito picchia come poche volte (se il mix danneggia Bruce, Nicko viene messo in risalto, anche se il suono che ha dal vivo è decisamente migliore) e questo si sente già dall’iniziale Aces High. Con il famoso intro della seconda traccia in scaletta, Where Eagles Dare, chiarisce ogni dubbio sulla sua forma fisica. Ci sono 20enni che non riescono a suonare così!

In generale il batterista fa un lavoro perfetto, sia quando deve andare veloce (The Trooper) sia con pezzi più ritmati (ovviamente ci riferiamo a Flight of Icarus). Nonno Nicko colpisce ancora!

Dai “Tre Amigos” non ci si può che aspettare un’ottima prestazione. Assoli ben riusciti e riff precisi (anche se in alcuni casi un po’ più sporchi e imprecisi del solito, soprattutto quelli di Dave, ma non lo riteniamo un difetto, anzi). Janick andrebbe visto oltre che sentito, ma comunque è sempre il solito: o lo ami o lo odi.

Chi dei tre risalta di più è però Adrian. Se lo seguite su Instagram sapevate già che in questa seconda leg del tour avrebbe improvvisato molto di più, e il risultato è stato perfetto. Assoli addirittura migliori di quelli in studio come quello su The Wicker Man (anche se, dannazione, ne ha fatti di ancora migliori in altri concerti!), fraseggi aggiunti a canzoni come Revelations o Sign of the Cross, e in generale una performance da 10+. Parola d’ordine: freschezza. E Adrian ne ha portata a bizzeffe. E fa anche la seconda voce su The Wicker Man!


Due difetti? I volumi che queste aggiunte hanno nel prodotto finale potevano essere più alti in alcuni punti (le armonizzazioni sulla parte finale di Sign of the Cross per esempio) e il fatto che neanche questa volta abbiamo il suo assolo su Revelations, eseguito invece da Janick. Visto che i due chitarristi se lo alternavano di concerto in concerto sarebbe stato carino utilizzare una versione con Adrian protagonista, dal momento che già su Flight 666 era Janick a farlo.


Passiamo ora a Steve. Il fonico attuale dei Maiden dice che per equalizzare il basso lo considera come una quarta chitarra, ed in effetti nel gruppo Arry ha più o meno quella funzione. Questo concetto in ‘Nights of the Dead’ è portato all’estremo, e se non avete delle buone casse probabilmente farete fatica a distinguere il basso dalle chitarre. Non è profondo, è tagliente. E se dal vivo può funzionare qua forse è un po’ troppo. Riguardo alla prestazione di Steve niente da dire: è sempre la solita macchina da guerra.


Dopo tutti questi complimenti è difficile credere che abbiamo giudicato in maniera negativa quest’album, ma il suono è veramente, come molti hanno scritto, da bootleg. Seriamente, ci sono registrazioni non ufficiali che suonano 10 volte meglio (chissà che avrebbero tirato fuori i Giapponesi!).


Le tastiere sono tragicamente alte senza motivo (stesso problema che c’era sul finale di The Red and the Black in Live Chapter) e le chitarre sono melmose. In alcuni punti è persino difficile capire quale strumento stia suonando, se la tastiera o appunto le chitarre. È come se quest’ultime fossero messe di sottofondo. Un vero peccato vista la prestazione dei tre musicisti.

La voce di Bruce risalta ma non troppo, talvolta un po’ coperta dalle altre frequenze del basso, e forse anche per questo sembra meno potente di quello che sappiamo essere. L’unico che ne esce bene è Nicko, un membro su sei / sette.


Manca qualcosa a questo live, e probabilmente sono i bassi. Se ascoltate Aces High da ‘Nights of the Dead’ e poi passate alla versione di Flight 666 ve ne renderete subito conto. Certo, troverete anche due performances differenti, ma non ci sentiamo di giudicare l’attuale forma della band da quelle tre serate in Messico. E forse è questo il problema, che rende tutto (quasi) inutile: 'Nights of the Dead' non è una testimonianza del Legacy of the Beast Tour.


Tutto quello che abbiamo esaltato di questo tour non è presente sul live album: non ci sono i suoni perfetti che Pooch ha creato e non c’è la performance da 10 che ha caratterizzato il 99% del Legacy of the Beast. Possiamo passare sopra alla mancanza video visto che è una cosa improvvisata (a cui però stanno lavorando da luglio almeno), probabilmente anche sulla performance leggermente inferiore, ma non sull’essenza di un album: il suono.


Steve forse ha qualche problema all’udito dal momento che sono oltre 40 anni che sale sul palco senza la minima protezione, e magari il suo orecchio compensa la resa sonora finale, ed essendo lui il capo lui decide.


Cosa c’è di certo? Tutto ciò non è rassicurante in vista del nuovo album in studio, in cui sicuramente Steve ha avuto la parola finale sul suono. Molti criticano Shirley per i suoni non all’altezza dei nuovi dischi dei Maiden, ma con questo ‘Nights of the Dead’ è chiaro che il colpevole vero sia proprio il boss della band.

Dal momento che il disco è stato probabilmente già mixato possiamo solo sperare che la valanga di commenti negativi a questo live (già presente sotto i due singoli) possa far venire qualche ripensamento alla band. E forse far spostare Steve più a lato, magari lasciando il controllo a persone come Adrian o Bruce.


In conclusione: grazie Maiden per averci dato qualcosa da ascoltare, davvero. Sempre meglio che non avere niente.

La performance, anche se non perfetta come altre di questo tour, è ottima.

Il suono è il vero problema.


Sicuramente a moltissimi piacerà, ma secondo noi questo live album non è quello che si prefigge di essere, ovvero una testimonianza del tour che molti han definito come il migliore mai fatto dalla band. Un’occasione sprecata.

Se siete collezionisti o semplicemente persone a cui non frega niente dei suoni ‘Nights of the Dead’ sarà di vostro gradimento. Quasi sicuramente non diventerà il vostro preferito ma, come abbiamo già ribadito più volte, sono i Maiden a suonare, per cui sotto quell’aspetto niente da dire, considerate anche le condizioni non ottimali della band. Un fan accanito, che magari ha visto addirittura più date di questo tour e quindi sa che qual è stato il livello qualitativo del gruppo, potrebbe storcere il naso per il nostro stesso motivo. Ma è anche probabile che lo comprerà, essendo appunto un fan accanito.

Ai fans occasionali, quelli che non sanno dirti a memoria lo show in cui Bruce ha fatto questo o quell’ acuto leggermente meglio, potrebbe piacere.


Noi, da buoni fanboys, lo ascolteremo più volte negli anni a venire, ma sempre con l’idea fissa che non è una testimonianza onesta del Legacy of the Beast Tour.

Ed è questo il vero problema con ‘Nights of the Dead’.

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